Sunday, May 3, 2009

La pressione a sentirsi "autore"

Questo nostro piccolo mondo di praticanti del gdr in Italia è irrimediabilmente intriso di questa fortissima "ambizione d'autorialità".
Son qui che penso all'imminente AmberCon (ovvero la convention "del" Flying Circus, al di là delle peripezie storiche del nome, che quest'anno si svolgerà all'interno di Este in Gioco), e mi tormento pensando di dover assolutamente inserire nel palinsesto un "EVENTO MIO" - qualsiasi cosa ciò significhi, in fin dei conti. Tutti i progetti iniziati, magari da anni, e non ancora compiuti, sento una specie di obbligo morale a ultimarli e playtestarli proprio entro le prossime 3 settimane, onde poterli poi offrire in quel di Este a folle oceaniche di fan adoranti...
Lo pseudo-Braunstein che ho fatto fioretto di realizzare, prima o poi? Nel mio delirio autoindotto, già m'immagino a scriverlo interamente durante il volo intercontinentale Malpensa-Narita e relativo ritorno, per poi ritrovarmi esattamente due giorni dopo a proporlo al pubblico di una convention. Il che significherebbe, per dirne una (a parte la piccola ineleganza di presentarmi con un gioco mai playtestato, e a parte l'usuale stupidità di inserire in un palinsesto un evento non ancora scritto), proporre al pubblico un mucchio di schede del personaggio scritte a mano, nella "chiarissima" grafia per cui sono famoso. O magari comprarmi un portatile appositamente per questo?

Un evento MMMIO...!!!


E che cosa cazzo sarebbe, "un evento mio"?!

Semplicemente, è un retaggio. Un retaggio di quel "Master" con l'iniziale maiuscola che è contemporaneamente scrittore del dramma, regista della sua messa in scena, e forse anche interprete di più d'uno dei personaggi principali. Il master-intrattenitore, la cara vecchia scimmietta danzante, che si nobilita dicendosi "autore". Ma la sua vita è dura, povera bestia, e deve pur togliersi qualche soddisfazione, no?
È un retaggio di una gran parte della mia storia personale, che è difficile scrollarsi di dosso tutto d'un tratto. L'ultimo strisciante rantolo di quel me stesso che credevo sepolto da molti anni, il master "che gli avrebbe fatto schifo usare un'avventura preconfezionata". Certo... Quando non s'aveva un cazzo di cui vantarsi - né abilità né esperienza, né umiltà né palle - s'aveva orgoglio: abbastanza da riempirne una cisterna, o due.
Nei miei amici del Flying Circus, come anche in altra gente che fa live d'un certo valore - in gran parte della parte meglio del gdr italiano, insomma - la tendenza di cui sopra assume forme di gran lunga meno tumorali, che sento di commettere un'ingiustizia a paragonare a quelle del teenager (anagrafico oppure onorario) il quale conta sul tavolo da gioco come propria unica fonte di prestigio micro-sociale... eppure persiste. Persiste in forme intellettualmente tollerabili, ma insidiosamente pervicaci; e si nasconde, più di tutto, nella nostra ambizione mai del tutto sopita a sentirci autori. Ci arroghiamo le forme, allora, dell'essere autori di libri o d'altro: officiamo il sacro rito di scrivere il nostro nome sopra o sotto un titolo. E, con ogni volta che lo facciamo, un po' rischiamo di mortificare l'oggetto del nostro amore (il gdr, intendo): di svilirlo a calco d'altri più vecchi mezzi d'espressione.
Un game-designer e un teorico del gdr del calibro di Ron Edwards ci rammenta, fra le pagine di Spione, che i partecipanti a una sessione di Story Now sono tutti e in egual misura co-autori. Da un differente percorso arriva a conclusioni simili, nel suo Vademecum dello Stile Carsico, Andrea Castellani - che stimo come una delle menti più brillanti del live italiano, pur se rifiuta per la propria attività la categorizzazione di "gioco": i partecipanti al LARP sono co-autori di qualcosa, e l'organizzatore non è "più autore degli altri". Mi colpiscono ancora di più le conclusioni di Andrea quando penso all'assoluta preminenza, nel percorso che ve l'ha condotto, di quella struttura "a schede dei personaggi" che (più spesso che no) può consistere in una storia già scritta servita sbriciolata, con la "riuscita" del live che allora si misura sull'aderenza al copione non-del-tutto-scritto depositato in una singola testa. (Per conto mio, invece, io mi sono da tempo convinto che anche in quei casi un "personaggio" non esiste, non nasce, finché la sua "scheda" di carta non incontra la persona intera di un giocatore.)

No, questa volta alla AmberCon di Este io porterò eventi "miei" in tutt'altro senso: le mie scelte, giochi che mi piacciono di designer che ammiro, e cose che nessun altro avrebbe altrimenti pensato di portare. Avrò cura, soltanto, di scegliere giochi che per struttura ritengo capaci di offrire un'esperienza completa (la loro esperienza, vasta o limitata che sia) entro i tempi che mi sono dati. Non farò "demo", insomma: non nel senso di assaggi di gioco in pillole. (Ammetto, tuttavia, che le partite "demo" fatte recentemente a InterNosCon sono state per me soddisfacenti oltre ogni mia più ottimistica aspettativa.)

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