Saturday, December 26, 2009

Primogenitus ex mortuis

Ho percorso i mondi, sono salito sui soli e ho volato con le vie lattee per i deserti del cielo; ma non esiste alcun Dio. Sono disceso fin dove l'essere proietta le sue ombre, e ho guardato nell'abisso e ho chiamato: "Padre, dove sei?", ma mi ha risposto solo l'eterna tempesta che nessuno governa, e lo scintillante arcobaleno degli esseri si levava sopra l'abisso senza un sole che l'avesse creato, e colava goccia a goccia. E quando il mio sguardo si levò verso il mondo infinito alla ricerca dell'occhio divino, il mondo mi fissò con un'orbita vuota e sfondata; e l'eternità giaceva sul caos e lo rodeva e rimasticava se stessa. Gridate ancora, note discordanti, distruggete le ombre; perché Egli non esiste!

Thursday, December 17, 2009

Perché non mi piace dire "New Wave"

Premessa: l'espressione "New Wave" è un artefatto della discussione internettiana in Italia, coniata per designare "tutti i gdr diversi da Parpuzio", dove "Parpuzio" è un (fortunatissimo) termine escogitato dal diabolico Moreno Roncucci per indicare quell'unico gioco che tutti abbiamo giocato per anni e anni sotto diversi nomi autoconvincendoci che si trattasse di più gdr diversi (e/o che si trattasse dell'unico gdr possibile, o che le sue regole coincidessero con la definizione stessa di "gdr"). Già da tempo, io sto attivamente evitando di usare tale espressione.

Mi rifiuto di parlare di "New Wave"...

Mi rifiuto di parlare di "New Wave" perché ciò fa immaginare, a torto, che sia esistita una "old wave". E, poiché il vecchio ha, in assenza d'altre indicazioni, dignità pari al nuovo, ecco che la magia della dialettica spacca il cielo in due parti: in insiemi apparentemente equivalenti, di pari peso e infine di pari dignità. Il che, per chi è informato della realtà dei fatti, è semplicemente ridicolo ‒ talmente stupido da non poter neppure essere preso in considerazione.
Gli automatismi del discorso ci faranno sempre immaginare due insiemi contrapposti come equivalenti, e così ghettizzandoci da noi stessi dentro un'espressione come "New Wave" siamo proprio noi a creare una "old wave", una fazione del "gioco tradizionale", investendola di una dignità cui razionalmente non avrebbe diritto: di fronte a un singolo e tracotante gioco che dovremmo, non dico lasciare sulla strada, ma incorniciare serenamente in un museo della nostra storia passata attendendo che sia abbastanza invecchiato da poterlo, forse, prendere in considerazione solo per un fugace e raro atto di retro-gaming... di fronte al vecchiume di cui siamo stati schiavi e di cui dovremmo essere stanchi, noi invece legittimiamo una fazione di disinformati, di polemici, di giocatori soltanto di nome ad autoproclamarsi nostri eguali e opposti, e trascinare quindi all'infinito un "dialogo" attorno al nulla. Dove invece non c'è dialettica possibile, se una delle "fazioni" coincide con il "quasi tutto" mentre l'altra incarna il "pressoché niente", la più desolata e desolante assenza di contenuti (fosse anche di un vuoto maieutico e stimolante).
"Ma quale niù ueiv", dovremmo dire: "noi ci interessiamo ai giochi di ruolo. E voi, invece, chi cazzo siete? Nessuno."

Somiglia, fin troppo, a un qualsiasi presunto "discorso" politico tra "destra" e "sinistra", anzi, tra "conservatori" e "progressisti". Perché "progressisti" dovrebbe significare: sostenitori dei diritti umani, contrari alle discriminazioni, laici, scientifici, razionali, ecologisti... una sorta di summa di tutti i possibili valori positivi, roba che osteggiarli, essere contro, dovrebbe esser visto come un crimine contro l'umanità. E invece, tutto questo viene chiamato "sinistra": come a dire che le simmetriche posizioni oscurantiste, demagogiche, irrazionali, poliziesche, utilitaristiche e personaliste, lobbistiche, hanno una eguale dignità come "destra". Ma il delirio di questo non-ragionamento abbiamo ben poca difficoltà a ignorarlo, a dimenticarlo di proposito, visto che il "discorso" politico noi siamo soliti farlo solo per negazioni: compare un giorno un signore che dice "votate per me perché non sono di sinistra" e vediamo allora la nostra presunta "sinistra" ridurre la propria identità politica al "noi siamo anti-Berlusconiani". Ed ecco che ogni possibilità di un discorso politico è stata ridotta a lanciarsi slogan ed epiteti tra curva e curva di uno stadio, con al centro la faccia e il nome di una singola persona (che non costituiscono certo un oggetto politico!), insomma a un non-dialogo attorno al puro niente.

Lo stesso accade nel discorso internettiano italiano attorno al gdr: si dice "New Wave" e si appiattisce tutto ciò che c'è di buono e di giusto, anzi, ogni possibile contenuto all'interno del semplice "non essere Parpuzio"... e così siamo proprio noi a costruire a questo nano nietzschiano, "Parpuzio", i tacchi rialzati su cui elevarsi come un gigante di cartapesta a minacciare da eguale a eguale il tutto, soffocando ogni potenziale dialogo col suono infantile del suo organetto.

Wednesday, November 25, 2009

Un semplice componimento paesaggistico


È fatto di lastre di piombo
il voltone di cielo che sta sopra Bologna

e le gocce di nebbia che m'investono il viso
non sono ancora pioggia,

e la torre del castello che sovrasta la piazza
coronata di crudele scherno
è vestita di gialli invernali e di fumo di luce

e inaudibile pesta con forza su timpani morti
per chiamare la folgore.

Smesse le tradizioni disneyiane festeggerò quest'anno alla maniera antica:

immolando un'innocente sull'altare bruto delle mie speranze.


Wednesday, November 4, 2009

Polaris con ghiaccio (ricetta)

Quella che segue è la ricetta di una bevanda alcolica che io chiamo "un Polaris con ghiaccio". Ve la presento per celebrare l'uscita, e il successo, del libro omonimo - sebbene la stagione ormai si sia fatta, temo, decisamente troppo fredda perché possiate adeguatamente gustarla.
Non immaginate ora che si tratti della ricostruzione di una ipotetica bevanda che i Cavalieri di Polaris sorbivano abitualmente ai tempi dello splendore... Infatti, gli ingredienti principali sono, a ben pensarci, talmente meridionali (caffè, rum e quindi distillato di canna da zucchero, cardamomo) che nulla sembra accomunare questa bevanda a Polaris se non il ghiaccio.
La ragione del nome che ho scelto, infatti, è meramente biografica: improvvisai la ricetta di questo drink nell'agosto del 2008, mentre ero al lavoro sulla traduzione di Polaris (e questo dovrebbe darvi l'idea di quanto lunga e travagliata ne sia stata la storia editoriale: si pensi che allora il completamento della traduzione appariva urgente!) ed esso mi tenne compagnia durante le lunghe e appassionate notti estive che dedicai a tale opera. Se la prosa dei primi capitoli di Polaris - la mia prosa! - vi appare eccessivamente fantasmagorica e purpurea, dunque, ora già sapete che io declinerò ogni responsabilità di questo scaricandola, come mio solito, sull'alcol.


Ingredienti del "Polaris con ghiaccio"
  • Acqua,
  • caffè in grani,
  • cardamomo in baccelli,
  • rum ambrato (sui 3 anni d'invecchiamento)
  • e ghiaccio.
Ci si assicuri inoltre di avere a disposizione un macinino da caffè, un fornello e un frigorifero.


Preparazione del "Polaris con ghiaccio"

Per prima cosa, occorre preparare (in anticipo) del caffè freddo aromatizzato al cardamomo.
Il cardamomo è una spezia largamente usata nella cucina dei paesi arabi e indiana, ma molto poco conosciuta in Italia; i baccelli essiccati possono essere acquistati in alcuni negozi di alimenti orientali e il loro utilizzo più semplice e pratico è aggiungerli al tè (puliteli nel modo che descrivo di seguito e bollite i granuli nell'acqua con la quale preparerete un semplice tè all'inglese).
La parte da utilizzare sono i granuli neri contenuti all'interno, e l'operazione di pulizia è in effetti un po' laboriosa. Aprendo a mano i piccoli baccelli, uno a uno, generalmente vi si troverà dentro quello che appare come un unico blocco nero e rugoso. In realtà, il frutto fresco sarebbe pieno di una gelatina lattiginosa, la quale asciugandosi ha però formato come una pellicola di colla secca che lega assieme i semi. Occorre perciò sgranare i semi dividendoli a mano (si noterà la gelatina secca cadere via nella forma di piccoli fiocchi bianchi), perché altrimenti la pellicola, quasi impermeabile, tratterrebbe la maggior parte dell'aroma nonostante la bollitura in acqua.
Si metta quindi una generosa dose di granuli di cardamomo nell'acqua fredda (meglio usare acqua minerale naturale) e la si faccia bollire per preparare con essa il caffè.
Il caffè va preparato alla maniera "americana" (attraverso un apposito imbuto rivestito all'interno con un filtro di carta) oppure "alla tedesca" (semplice infusione in acqua calda dei grani di caffè tritati grossolanamente, poi filtrata con un colino da tè). Per i caffè speziati, come in questo caso, io preferisco il secondo metodo, perché permette di lasciare anche i granuli di cardamomo nell'infusione fino all'ultimo momento. Macinate da voi stessi il vostro caffè! La preparazione "all'americana" richiede una macinatura meno fine rispetto alle macchinette "moka" o alle macchine da espresso, e il metodo "alla tedesca" la vuole ancora meno fine, perciò le miscele di caffè già macinato commercializzate in Italia non sono adatte. Si rammenti anche che le bevande fredde (sia tè, sia caffè) vanno sempre preparate più forti rispetto a quelle da consumare calde, altrimenti risulterebbero quasi insapori.
Quando il caffè è pronto (e ricordate di filtrarlo accuratamente se l'avete preparato con l'infusione alla tedesca!) lo si lasci raffreddare a temperatura ambiente per quanto è necessario, poi lo si metta a riposare in frigorifero per diverse ore. Una provvista di caffè freddo può essere conservata in frigorifero per 2-3 giorni prima di cominciare a inacidire.

Al momento di servire, si prenda un bicchiere piccolo e senza stelo, a forma di tronco di cono rovesciato, e vi si posizioni un singolo grosso cubetto di ghiaccio sul fondo. Sul ghiaccio versare immediatamente 1 parte di rum e poi 2 parti di caffè freddo al cardamomo. Mescolare brevemente con un cucchiaino da caffè.

Ecco pronto il vostro "Polaris con ghiaccio", rinfrescante bevanda da meditazione per lunghe e solitarie notti estive. Consiglio di sorseggiarlo lentamente, nell'arco di trenta minuti o più, per accompagnare una lettura particolarmente coinvolgente o un processo di scrittura particolarmente sconvolto. Favorisce l'estasi creativa e le lacrime apparentemente immotivate.



Tuesday, October 20, 2009

Polaris: finalmente le stelle

Finalmente ne è stato dato l'annuncio ufficiale: l'edizione italiana di Polaris di Ben Lehman uscirà in occasione dell'ormai imminente fiera Lucca Comics/Lucca Games 2009. Io quest'anno eviterò accuratamente di andare a Lucca (anche se il lodevole tentativo di certi miei amici di ritagliarsi uno spazio vivibile all'interno della manifestazione potrebbe, in caso abbia riscontro positivo, convincermi a rivedere la mia posizione il prossimo anno... in bocca al lupo, ragazzi!); a tutti coloro che ci andranno consiglio però di acquistare questo libro. Sul serio: a tutti. Compratelo. È bellissimo.
"Full disclosure": non guadagno nulla dalle vendite, ma ho collaborato a questa edizione - sono citato nei credits, insomma, come traduttore. Ho partecipato perché credo nel libro, però, non è che ci credo perché ho partecipato. ^^

Per me questo Polaris significa molto. La traduzione è naturalmente uno sforzo corale, come ogni parte di un progetto simile... sono al 99% "farina del mio sacco" i primi capitoli, quelli che presentano l'ambientazione, ma anche in quelli ovviamente ci sono scelte fatte dal coordinatore delle traduzioni (il caro Renato Ramonda) dai revisori e correttori (fra i quali quella sagoma dell'amico "Rino" Rossi), et cetera... ma non per questo ho fatto la mia parte con meno passione.
Per me, dicevo, significa molto: è la prima volta che contribuisco all'edizione commerciale cartacea di un gioco di ruolo (è il mio debutto quindi nell'editoria del gdr intesa nella sua accezione più tradizionale ^^) ed è la mia prima traduzione dall'inglese pubblicata, per di più una vera e propria "traduzione letteraria" nella quale ho potuto mettere molto del mio. Ho ragione di sentirmi quasi come se venisse dato alle stampe un mio racconto o romanzo. Sono, insomma, molto orgoglioso di questo figlioccio. Fine della spudorata auto-promozione.

Tuesday, October 13, 2009

Cadranno i pilastri del cielo

Il giorno che i pilastri del cielo

rovineranno con fragore sulla terra,

stuprandola d'ulcere profonde fino al mare,

e dalle viscere dell'inferno si leveranno folgori

con la polvere che ingoierà il sole,

e che la terza parte delle genti perirà nel fuoco,


presso le edicole nei trivi ti darò brandelli

del cuoio del mio fegato, che morderai nel rogo,

o se lo chiederai

ti donerò la testa recisa e grondante d'un fiore

e faremo all'amore sulla strada maestra

per la quale sciamano i pellegrini al trono vacante

che sarà del creatore

allorché vi assurgeranno i martiri

che rodono le fondamenta del tuo pensiero.

Wednesday, September 16, 2009

First playtesting! OMG!

Yesterday evening I run the first ever playtest game of Intrigue onboard the Fleur-de-lis (link to alpha draft). Thanks to my uber-awesome friends Nicola Ferrari (who also volunteered to host the game, at a very short notice - "very short" as in: less than 2 hrs) and Lorenzo Marcheselli (who also drove me to Nicola's place).

The good:
  • Both Nicola and Lorenzo said they enjoyed the game.
  • The fundamental concept of the game is indeed viable.
  • The basic structure of it appears to hold water (ah-ah!).
  • The game sort of automatically generates actual play reports. I didn't think of it, so kudos to Nicola for pointing this out.
  • Intelligent apes with jedi swords. No kidding. And ancient table forks.
The bad:
  • Too long! I was aiming for 3 hrs or less, but hadn't we improptu cut it short by arbitrarily removing a round of Charts from Open Sea mid-game, it would have lasted 4 hrs or more.
  • Too exhausting! My brain still haches from the effort of keeping all the pieces of information together. Two hours and a half into the game, I had an expression of pain on my face and was longing for it to end... I was almost crying for sweet, sweet release! (Luckily, my friends disagree with me, or so they say. Is this a game for murder mistery enthusiasts, maybe?)
  • My math sucks! All of the dice rolls were piece-of-cake, with base numbers no lower than twice the target numbers. Not a single player marked any Xs on his character sheet in the whole game.
  • Too much writing, and too much time spent writing. The worst is, I still can't think of a workaround.
  • There are a few grey areas in the mechanics, in dire need of clarification or - you know - to actually be designed. No big deal: this is what playtesting is for.

Things I'm probably going to change in the next playtest run (and I suggest you consider in case you do attempt to play the game):
  • Each player only prepares 3 "Charts" (one per type, period). You still discard one per type before starting the game, so you're going to have a total of 6 in play (instead of 9).
  • The Tangle Rating only increases by 1 per 4 scenes played (as opposed to 3). It does not further increase with Acts concluding (which was a mess anyway): just count scenes.

Also, a very special and heartfelt thank goes to the overwhelmingly awesome Dan Maruschak, who took the time to wade through the linguistic horror of my draft and provide precious editing suggestions. A native-English-speaker editor! I still can hardly believe so much kindness exists in the world, but here's proof it does.
I will integrate Dan's corrections in the next draft (be it an Alpha.2 or a Beta version), together with any substantial changes emerging from playtests.

Thanks again, Nicola, Lorenzo and Dan!

Monday, September 14, 2009

Intrigue onboard the Fleur-de-lis

My entry for Game Chef 2009 is online and was submitted, like, one hour ago for a Two Weeks medal.
This makes it the first entry I ever submitted on time for any Game Chef ever.

With some luck, I'll be running a playtest tonight.
This would make it my first playtested entry into any contest whatsoever.

Il mattino del 13 settembre 2009 maturai l'asettico sospetto che il futurismo fosse morto, d'inedia.

Nella ovattata semitenebra del mattino che grava cronica e imperterrita sui miei bulbi oculari, li odo incessanti rigurgitare pensieri compri o prestati.
Della vocina stridula che sola si leva gravida di futuro, sbranando a due a due le parole scritte che stente non saziano la sua bramosia, inevitabile è a lungo termine la riduzione a fatto statistico, tanto che già la pregusto tremulo nella bocca asciutta e televisionata.
E il veicolo in movimento è già qui che perde velocità pur mentre l'acquista, zio Marinetti, scusa.

Sunday, September 13, 2009

All I need to know I learned from Edgar Allan Poe

Yes, I had a feeling that re-reading The Narrative of Arthur Gordon Pym was key to completing my game/entry, but as I discovered yesterday morning... I was actually underestimating the importance of it!
In fact, casual mention by Poe lead me to discover the existence of monsieur Kerguelen. Starting from there, everything easily fell into place like a deliberate, carefully crafted puzzle the wacky side of History had a lot of fun leaving for me to solve.
Now I just need to write a set of Omens (random encounter cards of a sort) before I can submit the draft and begin playtesting it.

Thursday, September 10, 2009

Getting closer to having an entry to brag about

Done:
  • a draft of the rules.

To do:
  • nail down the (historical and geographical) setting, down to naming the three main characters;
  • write a deck of random encounter cards;
  • playtesting.

I missed a 1st week medal, but thanks Jay Walton for thinking of a "2 weeks" milestone. Playtesting is unlikely to happen within said two weeks, but a full first draft is definitely gonna be uploaded in time, people!

Wednesday, September 2, 2009

Un sogno che ho fatto la notte scorsa

C'è un'abbazia che ospita le spoglie terrene di un santo. Una volta l'anno, per tradizione, il sarcofago viene aperto e i monaci più anziani ricompongono il corpo (lo scheletro, oramai), rassettandone o rinnovandone le vesti e gli ornamenti. Un tempo questa era una grande occasione di festa: il sarcofago aperto veniva issato sull'altare maggiore e il popolo tutto andava a rendere omaggio al santo. Oggi invece i visitatori sono molti meno, e il feretro non viene collocato su alcun altare, ma steso su un tavolo di lavoro in un angolo d'una sagrestia - in una stanza abitata, normalmente luogo della vita quotidiana, in mezzo a oggetti d'uso quotidiano (c'è perfino un grosso televisore che incombe proprio sul tavolo in questione, e ovunque affollamento di cose, un vivo e vitale disordine).

Una tradizione che invece non è cambiata è quella per cui - dalle porte della torre inaccessibile ove il santo è custodito negli altri 364 giorni dell'anno - il pesante sarcofago intarsiato viene trasportato fino al tavolo da un solo uomo, un monaco giovane che si offre volontario per esprimere in tal modo la propria devozione. Si tratta di un compito immane (in epoca medievale, certamente, più d'un monaco è rimasto ucciso nello svolgerlo): io che assisto alla festa come visitatore, e sono uno dei pochi, vedo l'uomo caricarsi sulle spalle questo peso enorme, che sarebbe troppo anche per due o tre uomini, e correre, correre arrancando furiosamente, per giungere a depositarlo prima d'esserne schiacciato a morte. Giunto alla sagrestia il monaco si lascia cadere con la cassa in spalla sul tavolo sotto il grande televisore, e svanisce. Inizialmente penso sia stato schiacciato, spappolato come un insetto tra il sarcofago e il tavolo, ma poi mi avvedo che si è lasciato cadere di lato, nello spazio sottile tra il tavolo e il muro, e lì giace a terra come morto (qualche tempo dopo noterò un movimento della sua gamba, da cui capirò che è ancora vivo, se pur esausto). Nel frattempo vedo anche che la bara è posata sul tavolo, ma di traverso, e rischia di cadere. C'è accanto un altro giovane monaco (credo con in mano un incensiere), che so trovarsi lì proprio per questa eventualità: suo è il compito di posizionarla correttamente, come il portatore esausto non ha certamente potuto fare. Egli sembra però intimorito (dalla sacralità della reliquia? è a disagio nell'avere a che fare con un cadavere? o semplicemente teme di sbagliare e che la preziosa cassa cada?), e infatti la tocca con esitazione, quasi come se la saggiasse, e invece di riuscire a spingerla in posizione la fa cadere rumorosamente verso di sè. Poco male: nessuno è ferito, e la cassa - che non si è aperta - viene sollevata con fatica da un paio di persone (compreso il chierico che ha sbagliato) e sistemata finalmente sul tavolo in maniera sicura.

Passa un po' di tempo. Vengono uno o due monaci anziani ad aprire il sarcofago. Provo un po' di timore, perché sto per vedere un cadavere, ma sono anche (morbosamente?) curioso. Tolto il coperchio, l'interno della bara è interamente coperto da un velo bianco, forse con un ricamo di fiorellini rosa. Il monaco anziano sta benedicendo. Io provo un certo sollievo (perché lo scheletro non è visibile?), anzi, sono sempre più rassicurato. Constato che quasi tutti se ne sono andati - anzi, sono rimasto l'ultimo turista a perseverare, l'unico che gironzola dentro e fuori dalla porta della sagrestia aspettando di vedere che cosa succederà dopo. Non ci sono neppure i monaci giovani. Presumo che gli altri siano andati via per il timore di vedere un cadavere, e penso che sono stati un po' sciocchi. Dopo qualche tempo effettivamente il velo bianco viene tolto, e vedo il corpo del santo: è ridotto a uno scheletro, con solo qualche brandello di materia non ossea (più saponificata che non mummificata?) ancora attaccato, ma nel complesso mi appare come se fosse di pietra. Sì, ha l'aspetto di qualche antichissimo bassorilievo raffigurante uno scheletro. Indossa, inoltre, una mitra da vescovo, un ampio medaglione o collana sopra una tunica porpora, e altri paramenti sacri. Non mi fa alcuna paura o disgusto. Affettuosamente, i monaci anziani si dedicano a curare le spoglie del santo - credo che le rivestano, ne puliscano i gioielli e cose simili. Assistere a questa loro attività mi riempie di un profondo, profondo senso di pace.

Tuesday, September 1, 2009

18 sillabe

Momiji di plastica
nel ferro d'una rete di cantiere.

Rafu

Note: sono fermamente convinto che non sia necessariamente il numero delle sillabe (17) a fare uno haiku, almeno quando decidiamo di chiamare haiku un componimento in una lingua diversa dal giapponese - gli aspetti contenutistici, in tal caso, mi paiono ben più importanti (eufemismo). Questa è però la prima volta che scrivo qualcosa di contenutisticamente molto vicino a uno haiku in un numero di sillabe tanto vicino a diciassette.

Monday, August 31, 2009

Be obvious: your first idea is the best one (and much more so as the clock is running fast)

I want to design a single-scenario game, mostly suitable for convention one-shots and fully compatible with the Flying Circus format: this way, it'll be easier to get some real playtesting done (reduced mental overlap with my other design projects, including huge, multi-scenario Trame and campaign-oriented Il vizio della spada, is a nice plus). Knowing that already, I checked the theme and ingredients today...
"Dividers", "Seabird" and "Star" immediately suggested a sailing ship for a backdrop. Obvious, of course, but so much better than going game-chef-cruft. "Fleur-de-lis"? It's probably depicted on the ship's flag, meaning it's like a French ship or something. Le quart livre springs to my mind (or, rather, it was already sitting there since yesterday evening, for no particular reason).
Then there's the Cerberus Award: "make a game for three players" - a nice number, indeed, and a way to give my chances to run playtests a little boost. Gotta take a shot at that one.
"Intrigue" as the theme, though... I can well conceive intrigues taking place onboard a ship at sea, but I won't be bothered to design just another game in which players keep secrets from each other and scheme behind each other's back toward some kind of victory. Don't hear me wrong: it'd be a nice sort of game, but it's been done to death already (being the oldest hat in RPGs, actually, if you accont for Braunstein) and I have friends who are so much better than me at designing that sort of thing, so no, not my cup of tea, thank you.
I want the intrigue of this game to be out in the open, instead: something players collaboratively spin on a "metagame" level, then fit into the past by ret-con. Retroactive continuity! Yes, this one's been on my mind for a long time: designing to support and promote retconning.
Now, I "just" need to set a few more points in my mind and write down a draft. In English. Despite the too many things I'm supposed to do this week (mostly game-related things, thankfully!). Well, that, or I'll just pass on the first deadline and go for the 2 weeks mark (Mark Twain? Gosh... let's stop with the Owlbear related in-jokes at once!).

Tagging in to Game Chef 2009

Hi everybody.
I'm the infamous Italian guy who submitted late (according to a time-honored Italian custom) the longest entry to Little Game Chef, then proceeded to be mistaken for a Nordic person by Eero Tuovinen because of the hugely fucked up pervasive LARP thing it was. But I don't want to design fucked up pervasive LARPs! Graham Walmsley made me do that by picking "immersion" as the theme, because Graham is clearly evil! I just wanna design very proper & victorian forge-y games, and immersion sucks!

Saturday, August 15, 2009

The underdog shall inherit the earth

Inizialmente questo post, rimasto in the making per oltre una settimana, doveva intitolarsi: "Della libertà, della proprietà intellettuale, della storia della cultura umana e di vecchi videogiochi". Titolo ambizioso, per intraprendere un discorso su quella che è stata essenzialmente una coincidenza... o un caso di en (per i miei due o tre lettori che conoscono il giapponese).

Se qualcuno fa caso al mio "stato" su Gtalk avrà forse notato come fra una e due settimane fa, per alcuni giorni, ho dedicato il più del mio tempo e del mio entusiasmo a installare un sistema operativo diverso da Windows (su uno dei miei computer, a titolo di esperimento, aggiungere a piacere altri qualificatori limitativi che mostrino quanto conservatore sia comunque il mio approccio). Sebbene la "scintilla" iniziale sia stata un'altra, è rilevante come "diverso da Windows" sia quasi sinonimo di free software e/o di open source. Vi è in me un sempre crescente - per quanto poco informato e certamente superficiale - entusiasmo per il software libero. Perché? Neanch'io lo so, con esattezza: è un'infatuazione con una forte componente istintiva, forse irrazionale. A parte il mio crescente rifiuto della "pirateria come comportamento di default" (come si usa qui in Italia), credo ci sia in me un'insoddisfazione, finora inarticolata, per come funziona la proprietà intellettuale nel nostro mondo. E sono qui a scrivere appunto per articolarla.

Che cosa c'entra tutto questo con L'Orgasmo Cerebrale, o almeno col mondo del gioco? Non ne avevo idea nemmeno io - né infatti pensavo di scriverne in questa sede - finché una notte non mi sono imbattuto per caso in questa intervista (grazie a Play This Thing per la segnalazione). Si tratta di un testo che ho divorato, incapace di staccarmene, calamitato dalle profonde implicazioni e dagli spunti che offre nonostante l'apparente semplicità.
Sarinee Achavanuntakul (che deve essere una persona estremamente interessante) è la fondatrice di Home of the Underdogs, forse il più leggendario sito di abandonware. Conoscevo "The Underdogs" da utente, o da utente dei suoi siti revival - ai quali mi sono abbeverato più volte per saziare la mia occasionale ma intensa sete di retrogaming - ma ammetto con una punta di vergogna che fino a ieri ignoravo la vera storia di questo progetto, a partire dalla silenziosa lotta per sopravvivere fatta di continui trasferimenti.
Sarinee e i suoi amici sono stati per anni i curatori di un museo clandestino nel quale una parte della nostra storia mediatica e culturale (i giochi per computer, e in particolare quelli mai assurti a icone mainstream, come il mio amato Darklands) è stata preservata contro la volontà delle compagnie ufficialmente detentrici della "proprietà intellettuale", le quali ultime l'avrebbero altrimenti cancellata senza molte cerimonie.

Chi si trova qui a leggere questo blog, presumo, non si "scandalizza" certo per il mio considerare un mucchio di vecchi videogiochi come una significativa porzione della cultura della nostra epoca, da conservare per i posteri. Bocciata questa potenziale divagazione nella divagazione, ne suggerisco allora un'altra: un momento di riflessione sulla fragilità di tale porzione della nostra cultura.
Nel breve periodo in cui studiai un poco di assiriologia (per la verità un "termine cappello" poco sensato sotto cui la prassi universitaria raggruppa lo studio di tutte le antiche popolazioni mesopotamiche e limitrofe, di tutte le antiche lingue semitiche e proto-semitiche e del sumerico), non oso nemmeno provare a contare quante volte nei testi - nelle comode trascrizioni su carta dei testi a uso di noi studentelli - ho incontrato indicazioni di "rottura": vale a dire, letteralmente, porzioni di testo mancanti a causa di danneggiamenti del supporto di argilla che lo hanno reso illeggibile. Danneggiamenti dell'argilla. Ma lo studioso si accontenta, e con impegno si dedica a tradurre (o forse, visto lo stato della nostra conoscenza di quelle lingue, dovrei dire a decodificare) quei testi pur pieni di lacune.
Ma se per assurda ipotesi gli archivi reali di Ebla, invece che di iscrizioni su argilla leggibili a occhio nudo, fossero stati pieni di dati leggibili solo a macchina? Che cosa farebbe uno studioso con dei supporti informatici contenenti file di dati vecchi di migliaia di anni? Prima ancora di potersi cimentare con la decifrazione della lingua di quei testi (se di testi si tratta), dovrebbe essere in possesso di tutte le informazioni necessarie a ricostruire oppure emulare un computer a loro coevo. I dati archiviati per una lettura a macchina, e non per l'uso diretto dell'essere umano, sono immensamente più vulnerabili ai danni materiali: danneggiamenti dell'entità di quelle lacune tanto comuni sulle tavolette sumeriche implicherebbero, presumibilmente, la totale o quasi totale irrecuperabilità dei dati. Più tecnologicamente sofisticata diventa la nostra cultura, più vulnerabile essa diventa ai danni materiali prodotti dal tempo... più fragile e più bisognosa di cure per poter essere tramandata alle generazioni future.

Sarinee e i suoi amici lavoravano appunto a conservare la nostra cultura per le generazioni future... no, per la generazione presente addirittura, tanta è la volatilità delle opere che cercavano di esporre in quel loro "museo". Lo facevano servendosi di quella che è la forza dei file di dati rispetto alle iscrizioni su argilla, l'altra faccia della loro fragilità: la riproducibilità immediata e illimitata che ne è possibile. Ed ecco che la cosa più affascinante, più toccante che si legge in quell'intervista è la constatazione di come - mentre magari i creatori veri e propri delle opere applaudivano lo sforzo - i loro proprietari ufficiali lo osteggiavano, troppo miopi forse per cogliere il valore di ciò che possedevano e quindi l'importanza degli sforzi volti a tramandarlo.
Non è questa un'aberrazione? A che serve, e qual senso può avere, che la proprietà intellettuale - cioè la proprietà di un'idea, non di un oggetto! - passi legalmente nelle mani di altri che non l'autore dell'idea stessa? Che cosa ce ne facciamo di leggi che vincolano la circolazione di idee alle stime di potenziali guadagni formulate da qualche azienda, pronta a lasciar cadere nell'oblio frammenti della storia della cultura umana piuttosto che "regalarli" al dominio pubblico?
La giustificazione, la presunta necessità di leggi che regolamento la "proprietà intellettuale" di norma fa riferimento agli autori: queste leggi dovrebbero esistere per consentire alle persone di essere retribuite per le proprie idee, ovvero di guadagnarsi da vivere creando. Il legittimare l'alienazione delle idee con passaggi di proprietà a terzi e la loro silenziosa soppressione da parte di proprietari incuranti non mi sembra in alcun modo necessario, o anche solo utile al presunto scopo.

In una discussione del mese scorso su Story Games, il grande Ralph Mazza (l'utente "Valamir") si produce - con l'acidità, l'intelligenza e la libertà da compromessi che sempre lo caratterizzano - in una interessante analisi dello stato della "proprietà" nella società dei servizi. Se condivido la sua analisi, non condivido però la sua ideologia di fondo (pur essendo io sospettoso verso il "sistema" esistente almeno tanto quanto lo è lui): che il "diritto alla proprietà" sia una delle libertà fondamentali dell'uomo. Concezione molto tipica della cultura anglosassone, quest'ultima, nevvero?
Se lasciamo da parte i sentimentalismi e osiamo valutare in maniera astratta, puramente razionale, è subito evidente come la "proprietà" si caratterizzi come restrizione della libertà altrui. Più che essere un "valore" in se stessa, essa è un "male necessario", forse "il male minore": una tappa nella lotta per la sopravvivenza dell'individuo contro un sistema avverso.
In altre parole, sono l'ingiustizia e i difetti del sistema esistente - nella più ampia accezione possibile - che ci costringono a rifugiarci nella proprietà dei beni e delle idee come unica possibile tecnica di autodifesa. Un sistema giusto e equo, al contrario, provvederebbe alle necessità degli individui e li tutelerebbe dove sono deboli; nessuno sarebbe costretto ad armarsi per autodifesa, nessun bene sarebbe eccessivamente scarso, nessuno avrebbe bisogno di possedere cose - o idee.
(Beninteso, un ipotetico "sistema perfetto" potrebbe essere messo in atto solo dalla cooperazione di tutti gli uomini della Terra, non certo mediante l'imposizione dall'altro da parte di una minoranza "armata" di particolari poteri.)
Ma finché parliamo di proprietà dei beni materiali, è ovvio che ogni discorso sulla sua "non necessità" non può proporsi se non in toni largamente utopistici, entrando in gioco la natura stessa, ovvero limiti alla disponibilità di risorse sul pianeta non imposti in alcun modo dalla volontà dell'uomo. Presumo che anche per il più idealista degli anarchici di estrema sinistra una certa dose di tolleranza per il concetto di proprietà dei beni sia inevitabile, strettamente connessa all'idea basilare che il limite "giusto" alla libertà dell'uno ha inizio laddove si infrangerebbe altrimenti la libertà dell'altro.
Non così è per la proprietà delle idee, giacché le idee sono infinitamente riproducibili da uomo a uomo al di là di ogni restrizione imposta dalla materia: ogni limitazione alla proliferazione di idee è deliberatamente imposta mediante apposite sovrastrutture artificiali.
Il vero problema, in realtà, l'unica possibile fonte di scarsità di un bene culturale e immateriale è la deliberata obliterazione di esso da parte del detentore della cosiddetta proprietà intellettuale. Oggi che il contenuto di un libro, per esempio, non è più vincolato in maniera univoca alla materia cartacea su cui lo si stampa, ma può essere replicato infinitamente ed indefinitamente con mezzi virtualmente privi di costo... oggi tuttavia si creano leggi, e oltre alle leggi ritrovati tecnologici con cui attuarle, per far sì che l'informazione possa nonostante tutto essere trattata ancora come un oggetto e possa essere distrutta. Perché infine è di questo che si tratta. Che cosa mi fa desiderare, che cosa mi rende necessario l'essere "proprietario" per esempio di un e-book? La consapevolezza che il "proprietario vero", il legale detentore dei diritti, ha facoltà di negarmi l'accesso alle informazioni. Di cancellare il file, addirittura, e potenzialmente di negare per sempre l'accesso a quelle informazioni al mondo intero.

Perché mai il diritto alla distruzione della conoscenza dovrebbe essere tutelato? Ipoteticamente, per assicurare una fonte di reddito agli "autori"... cosa che invece tutti sappiamo non essere vera. Sappiamo benissimo che gli editori, coloro che un tempo possedevano l'informazione solo col possesso dei mezzi materiali la sua archiviazione e diffusione, si sono affrettati a sviluppare nuove dottrine della proprietà delle idee mano a mano che gli sviluppi della tecnologia e dell'economia mondiali minacciavano, diversamente, di rendere irrilevante la loro esistenza. La proprietà intellettuale non esiste che per assicurare la conservazione degli editori.

La vera libertà è l'accesso illimitato alla conoscenza, per tutti.

Letteratura, testi accademici, software, giochi... Se ogni informazione fosse libera e pubblica, non ci occorrerebbe esserne "proprietari" in alcuna forma per vederci garantito l'accesso a ciò di cui desideriamo usufruire. Il diritto fondamentale da salvaguardare è il diritto di accesso, non la "proprietà".

Questo in un mondo perfetto, ovviamente, nel quale i "creativi", anzi, i creatori non rischiano di morire di fame. Ma se fosse questo il vero scopo delle legislazioni vigenti, chiunque potrebbe constatare il loro fallimento. Vi sono concrete e realizzabili alternative?
Forse le sovvenzioni statali per "l'arte", come si usa nei paesi nordici (ed è cosa risaputa che ne sono state assegnate anche a game designer). Il pericolo di un metodo del genere, nella sua attuazione, è il mettere gli autori alla mercé di una giuria (non necessariamente competente!) incaricata di decidere che cosa sia o non sia davvero "arte" e quale arte "valga di più", una giuria assegnata a soppesare l'utilità dell'arte: intellettualmente aberrante, è innegabile.
Intellettualmente aberrante, certo, ma di più o di meno della realtà attuale nel resto del mondo - per cui la sopravvivenza di ogni sedicente o aspirante "artista" dipende in toto dalla sua capacità di vendere le proprie "opere" come prodotti d'intrattenimento? La differenza è tutta qui: invece di avere a che fare con un pool di critici, ci si confronta con una giuria popolare.

Si tratta di un discorso che in qualche maniera riguarda tutto e tutti, dagli "artisti" in senso più tradizionale fino agli sviluppatori di software, passando necessariamente anche per i creatori di giochi. La realtà odierna della concezione di "proprietà intellettuale" raramente tutela i nostri interessi, e in ultima analisi legittima comportamenti che sono lesivi della cultura umana. Eroico è allora il gesto di chi si sottrae attivamente a questo meccanismo e di chi vi oppone resistenza... Eroici sono i "pirati" di Home of the Underdogs, in realtà guerriglieri per i diritti culturali del videogioco. Ed eroici sono, soprattutto, quei creatori che consegnano la propria opera all'Umanità senza tenerne in ostaggio una chiave di scorta: dalle migliaia di programmatori che contribuiscono da volontari ai maggiori progetti di free and open source software, fino a quei benemeriti autori di gdr i quali - seguendo l'esempio particolarmente eccellente di Clinton R. Nixon con The Shadow of Yesterday - non solo distribuiscono gratuitamente giochi di alta qualità e lungamente playtestati, ma ne consentono ad altri il libero utilizzo come base per sviluppi ulteriori.

A tutti gli altri - a chi deve necessariamente premurarsi di trarre un reddito dalle proprie creazioni, poiché altrimenti dovrebbe scendere a compromessi quanto a tempo di sviluppo e qualità finale - raccomando di conoscere le norme che regolano la proprietà intellettuale e di non alienarsi mai le proprie opere cedendone il controllo a terzi. Impariamo dagli sfortunati errori dei nostri predecessori: per come funzionano le cose, una rigorosa filosofia "indie" - come definita su The Forge, ovvero di totale e assoluta creator ownership - è la prima e unica linea di difesa contro le più comuni degenerazioni che il copyright consente.
Sia messo agli atti: questa ultima mia affermazione rappresenta una posizione assolutamente pragmatica, tutto il contrario che utopistica. Nel mio mondo ideale, invece, nessuno - neppure l'autore in persona - avrebbe mai il diritto di far scomparire dalla circolazione un prodotto culturale: la prima libertà da tutelare non sarebbero mai i capricci (o l'interesse) di chi vuol distruggere o rinchiudere ciò che ormai ha creato, bensì l'accesso alla conoscenza da parte dell'Umanità intera.
(Nell'immagine: un completo e totale "underdog".)

This post powered by PC-BSD, a n00b-friendly FreeBSD distribution.
Con molti ringraziamenti a Lapo Luchini per la sua costante e inestimabile consulenza.

Tuesday, June 30, 2009

Un incubo organizzativo

Vi sono tanti motivi per cui questo blog non viene aggiornato spesso, ma ultimamente il principale - ciò che mi tiene più impegnato, insomma - è l'organizzazione del cosiddetto "live game" (mi dicono che usare il termine "gioco di ruolo" sarebbe controproducente a livello di marketing) di cui si può trovare qualche notizia qui.
Prevediamo fino a 30 giocatori (il che non significa che tutti questi posti verranno davvero occupati) e lo staff dei PNG/comparse consta di quasi una ventina di persone. Chiunque stia leggendo questo e mi è amico è pregato di augurarmi buona fortuna...

Friday, May 29, 2009

Words of perfect wisdom

"The most important part of having fun with a game is matching the expectations of the players to what the game will really be like."
(quote from author's commentary to an installment of Irregular Webcomic; thx to Ben Lehman)

Thursday, May 28, 2009

Ma com'era poi andato a finire il Lil' Game Chef?

Questo post è rimasto in sospeso per circa 1000 anni, ma in fondo anche questo è tipico di me...

I lettori di questo blog potrebbero ricordare che Aeonaut, da me scritto per il Little Game Chef 2009 di Walmsley, Morningstar & Tuovinen, fu automaticamente squalificato perché inviato (circa un minuto) oltre la deadline. La mia reazione a questo fu nell'ordine del "comunque l'unica ricompensa possibile è la notorietà, giusto? perciò la otterrò ugualmente!", ovvero tentare in ogni modo di far parlare del mio elaborato nonostante - o proprio grazie a - la sua squalifica d'ufficio.
In questo, Eero Tuovinen mi è cortesemente venuto incontro, facendomi il favore di leggere il testo e commentarlo ugualmente (qui un divertente e interessante scambio tra me e lui a riguardo): commenti contemporaneamente molto positivi e molto negativi, tali da offrire lo spunto per un'ulteriore discussione, che prima o poi certamente inizierò.
Anche sul forum temporaneo dedicato alla critica alla pari per il Lil' Game Chef (forum che purtroppo sembra essere già andato offline) ho ottenuto una pletora di interessanti recensioni - perloppiù disgustate, ma questa sincerità la apprezzo! - per alcune delle quali, fra l'altro, debbo ancora sdebitarmi. E lo farò, sia pure con i tempi geologici che mi sono propri.


Ma se riesumo ora la questione è perché nel frattempo Aeonaut sembra aver suscitato l'interesse di alcuni amici italiani, a cominciare dal caro Andrea Castellani (con un'interessante circolarità karmica, in ragione del fatto che proprio dal suo lavoro ho tratto una definizione operativa di immedesimazione/immersion che per Aeonaut è stata fondamentale). Neanche i debiti di questa mia creazione nei confronti di Pathos sono passati insosservati, a quanto pare...
Mi son giunte quindi alcune esortazioni a tradurre Aeonaut in lingua italiana, di cui sono in verità lusingato, ma le disattenderò, almeno per il momento. Non vorrei, infatti, limitarmi a una traduzione: ci sono elementi del gioco (frettolosamente messo insieme nel corso d'una settimana) che, alla luce delle recensioni, vorrei cambiare, e la prossima "edizione" dovrà includere tali cambiamenti, anche se sarà redatta in italiano e non in inglese.
Questo vuol anche dire che, se qualcuno dei miei amici italiani (fra i quali annovero tutti i lettori di questo blog, ivi inclusi coloro che non ho mai incontrato) desiderasse provare il gioco nella sua attuale incarnazione, come presentato al contest, lo esorto a farlo presto, e utilizzando come "manuale" quello in inglese. È cosa che non dovrebbe presentarvi alcuna particolare difficoltà, secondo me, trattandosi di un puro e semplice testo di istruzioni, e non di una raccolta di contenuti, fatta salva una singola pagina d'ambientazione il cui vocabolario specifico è comunque per almeno metà in latino, né vi sono inclusi "hand-out" per i giocatori. Se qualcuno, anzi, dovesse tentare un tale playtesting, lo prego di parlarmene, prima e dopo! Potrei addirittura, con un po' di fortuna, aver modo di partecipare. Sarebbe senza dubbio il primo collaudo di Aeonaut, e i suoi esiti influirebbero enormemente sulla riedizione in italiano che farò.

Sunday, May 3, 2009

In a Wicked Age... oracoli in italiano, stampabili

Su Abulafia (che è una miniera di cose divertenti) sono disponibili per i giocatori di In a Wicked Age... di Vincent Baker anche gli Oracoli tradotti in italiano. Non so chi abbia realizzato queste traduzioni, e con molte delle sue scelte non sono neppure molto d'accordo, ma lo ritengo comunque una persona gentile per aver condiviso i frutti del suo lavoro con noi tutti.
Il mio approccio a un gioco come IaWA è però decisamente analogico: consultare gli Oracoli sullo schermo di un computer non m'interessa, voglio portarmi al tavolo un mazzo di carte e vederle manipolare fisicamente dai giocatori. Perciò, una volta, ho estratto il testo delle traduzioni dal codice delle pagine di Abulafia e l'ho impaginato per la stampa, un foglio per ciascuno dei quattro Oracoli. Questione di forse mezzora di lavoro, ma perché qualcun altro dovrebber rifarlo se l'ho già fatto io?


Naturalmente, io m'ero del tutto dimenticato d'aver fatto questo, una volta stampatane una singola copia che ho messo nella mia cartellina di IaWA. Ringrazio pertanto l'amico Mario il quale, facendomene richiesta per e-mail dopo averla vista a InterNosCon 2009, mi ha rammentato di avere sul mio hard-disk qualcosa che può tornare utile anche ad altri.

La pressione a sentirsi "autore"

Questo nostro piccolo mondo di praticanti del gdr in Italia è irrimediabilmente intriso di questa fortissima "ambizione d'autorialità".
Son qui che penso all'imminente AmberCon (ovvero la convention "del" Flying Circus, al di là delle peripezie storiche del nome, che quest'anno si svolgerà all'interno di Este in Gioco), e mi tormento pensando di dover assolutamente inserire nel palinsesto un "EVENTO MIO" - qualsiasi cosa ciò significhi, in fin dei conti. Tutti i progetti iniziati, magari da anni, e non ancora compiuti, sento una specie di obbligo morale a ultimarli e playtestarli proprio entro le prossime 3 settimane, onde poterli poi offrire in quel di Este a folle oceaniche di fan adoranti...
Lo pseudo-Braunstein che ho fatto fioretto di realizzare, prima o poi? Nel mio delirio autoindotto, già m'immagino a scriverlo interamente durante il volo intercontinentale Malpensa-Narita e relativo ritorno, per poi ritrovarmi esattamente due giorni dopo a proporlo al pubblico di una convention. Il che significherebbe, per dirne una (a parte la piccola ineleganza di presentarmi con un gioco mai playtestato, e a parte l'usuale stupidità di inserire in un palinsesto un evento non ancora scritto), proporre al pubblico un mucchio di schede del personaggio scritte a mano, nella "chiarissima" grafia per cui sono famoso. O magari comprarmi un portatile appositamente per questo?

Un evento MMMIO...!!!


E che cosa cazzo sarebbe, "un evento mio"?!

Semplicemente, è un retaggio. Un retaggio di quel "Master" con l'iniziale maiuscola che è contemporaneamente scrittore del dramma, regista della sua messa in scena, e forse anche interprete di più d'uno dei personaggi principali. Il master-intrattenitore, la cara vecchia scimmietta danzante, che si nobilita dicendosi "autore". Ma la sua vita è dura, povera bestia, e deve pur togliersi qualche soddisfazione, no?
È un retaggio di una gran parte della mia storia personale, che è difficile scrollarsi di dosso tutto d'un tratto. L'ultimo strisciante rantolo di quel me stesso che credevo sepolto da molti anni, il master "che gli avrebbe fatto schifo usare un'avventura preconfezionata". Certo... Quando non s'aveva un cazzo di cui vantarsi - né abilità né esperienza, né umiltà né palle - s'aveva orgoglio: abbastanza da riempirne una cisterna, o due.
Nei miei amici del Flying Circus, come anche in altra gente che fa live d'un certo valore - in gran parte della parte meglio del gdr italiano, insomma - la tendenza di cui sopra assume forme di gran lunga meno tumorali, che sento di commettere un'ingiustizia a paragonare a quelle del teenager (anagrafico oppure onorario) il quale conta sul tavolo da gioco come propria unica fonte di prestigio micro-sociale... eppure persiste. Persiste in forme intellettualmente tollerabili, ma insidiosamente pervicaci; e si nasconde, più di tutto, nella nostra ambizione mai del tutto sopita a sentirci autori. Ci arroghiamo le forme, allora, dell'essere autori di libri o d'altro: officiamo il sacro rito di scrivere il nostro nome sopra o sotto un titolo. E, con ogni volta che lo facciamo, un po' rischiamo di mortificare l'oggetto del nostro amore (il gdr, intendo): di svilirlo a calco d'altri più vecchi mezzi d'espressione.
Un game-designer e un teorico del gdr del calibro di Ron Edwards ci rammenta, fra le pagine di Spione, che i partecipanti a una sessione di Story Now sono tutti e in egual misura co-autori. Da un differente percorso arriva a conclusioni simili, nel suo Vademecum dello Stile Carsico, Andrea Castellani - che stimo come una delle menti più brillanti del live italiano, pur se rifiuta per la propria attività la categorizzazione di "gioco": i partecipanti al LARP sono co-autori di qualcosa, e l'organizzatore non è "più autore degli altri". Mi colpiscono ancora di più le conclusioni di Andrea quando penso all'assoluta preminenza, nel percorso che ve l'ha condotto, di quella struttura "a schede dei personaggi" che (più spesso che no) può consistere in una storia già scritta servita sbriciolata, con la "riuscita" del live che allora si misura sull'aderenza al copione non-del-tutto-scritto depositato in una singola testa. (Per conto mio, invece, io mi sono da tempo convinto che anche in quei casi un "personaggio" non esiste, non nasce, finché la sua "scheda" di carta non incontra la persona intera di un giocatore.)

No, questa volta alla AmberCon di Este io porterò eventi "miei" in tutt'altro senso: le mie scelte, giochi che mi piacciono di designer che ammiro, e cose che nessun altro avrebbe altrimenti pensato di portare. Avrò cura, soltanto, di scegliere giochi che per struttura ritengo capaci di offrire un'esperienza completa (la loro esperienza, vasta o limitata che sia) entro i tempi che mi sono dati. Non farò "demo", insomma: non nel senso di assaggi di gioco in pillole. (Ammetto, tuttavia, che le partite "demo" fatte recentemente a InterNosCon sono state per me soddisfacenti oltre ogni mia più ottimistica aspettativa.)

Wednesday, April 22, 2009

Quartina

Il vento bello che schiaffeggia e strappa
dei fiori fa un tappeto ch'io calpesto,
e vivo preme un bacio sulle labbra
che mi rammenta i morti al tempo stesso.

Rafu

Note: sono pienamente consapevole che non è in rima (ma le rime italiane sono maledettamente difficili). Credo si possa dire che ogni scrittore in lingua italiana dovrebbe impratichirsi almeno un poco con gli endecasillabi... Personalmente non mi ci sono mai esercitato, ed è una delle cose di cui mi pento; ma spero non sia ancora troppo tardi per cominciare.

Saturday, April 18, 2009

Di competizione in competizione!

La nuova moda dilagante su Story-games.com si è rivelata tanto deliziosamente virale (no, dico, perfino il nostro Lorenzo Trenti si è cimentato nel produrre una di queste copertine!) che il suo istigatore primo David Artman ha pensato bene di lanciare un concorso per la realizzazione dei giochi completi dietro queste fantastiche copertine.
Ed io, nonostante il periodo atroce che mi aspetta, non ho saputo resistere alla tentazione di partecipare. Poche ore fa ho ricevuto i miei ingredienti e... ebbene, sono deluso al vedere che sono fin troppo omogenei: non c'è una bella dissonanza di quelle che fanno sbocciare veri fiori d'acciaio punk dello hippie-desing, l'idea da seguire si delinea in maniera fin troppo ovvia. Ma è comunque un'idea che vale la pena di realizzare.
Fortunatamente, il tempo concessomi è di ben due mesi (grazie di esistere, Ralph Mazza!), per cui ho almeno una modesta speranza di recuperare qualche momento da dedicare alla cosa - forse. Anche se sono comunque condannato a presentare un lavoro molto meno rifinito di quello che altri partecipanti potranno permettersi. Peccato.

Assolutamente da tenere d'occhio anche l'idea di un contest/workshop per la realizzazione di uno scenario a mo' di Braunstein, nata come revival degli albori del GdR per commemorare il recentemente scomparso Dave Arneson. Potrebbe nascerne un meraviglioso esempio di come la morte è parte del ciclo della vita.

E il Little Game Chef? Com'è andata a finire? Tornerò a parlarne appena mi avanzerà un minuto... Ma chissà perché continuo a proporre immagini di [animali imparentati con i] cavallucci marini?


Sunday, April 12, 2009

In memoria dei nostri morti

Gli ultimi anni del 20° secolo, gli ultimi e più spettacolari anni della mia adolescenza, li trascorsi partecipando alla prima grande "stagione" di Pathos, un esperimento di gioco su scala molto grande, credo unico nel panorama del gioco di ruolo italiano.
Del funzionamento del gioco (all'epoca ne firmai perfino una parte del regolamento) oggi cambierei moltissime cose, con la facilità con cui dopo molti anni d'ulteriore esperienza si possono riconoscere le ingenuità tecniche del passato. Ma, soprattutto, in quel gioco conobbi moltissime persone: un gran numero di incontri che hanno segnato indelebilmente la mia vita.
Per la seconda volta, una delle persone che incontrai in quelle nostre strane avventure se n'è andata. Due anni fa toccò a Stefano, un amico con cui rimpiango di non aver trascorso molto tempo. Oggi invece ci ha lasciati Laura, che conoscevo molto poco, eppure che consideravo appieno un'amica grazie al grande e strano gioco che ha fatto intersecare le nostre vicende.
A entrambi rinnovo questa che è insieme promessa e preghiera:

In questo universo tanto vasto
sebbene non saremo gli stessi
sempre ci rincontreremo.


Tutti noi ci muoviamo e intrecciamo i nostri giochi amati nella vita reale, e come ciascuno nella vita reale dobbiamo ogni giorno fare i conti con l'esistenza della morte. Questo nuovo lutto capita proprio quando ancora una volta stavo tormentandomi per il mio rapporto con il tempo, dilaniato tra l'entusiasmo per intraprendere nuovi progetti e una cronica pigrizia. E viene a ricordarmi che ogni giorno trascorso semplicemente vivendo, senza imbattermi nel volto della morte, è un dono della sorte che non va sprecato. Oggi ho vissuto una giornata piena di cui non sono pentito: il mio dovere verso me stesso e la vita è di fare altrettanto domani, e il giorno dopo ancora. Occorre iniziare nuovi progetti, proseguire i vecchi e, poiché la continuazione della vita non è garantita, cogliere ogni occasione d'esprimere amore.

Pochi giorni fa è morto anche Dave Arneson. A differenza di Laura, lui è morto anziano. Ma dopo la morte avvenuta l'anno scorso di Gary Gygax, la scomparsa di Arneson significa che il gioco di ruolo è proprio malgrado diventato grande: a 35 o 40 anni d'età si trova a essere sopravvissuto ai propri genitori.
Un appello a tutti coloro che amano il gioco di ruolo: facciamo sì che l'era in cui viviamo, l'era della sua sofferta maturità, sia un'età di grandi meraviglie - di cui i nostri cari estinti possano andare fieri.



Edit: Michele Gianni ha fatto circolare questo bel ritratto fotografico di Laura. A quanti l'hanno conosciuta e a quanti non l'hanno conosciuta: ricordatela così.

Wednesday, April 1, 2009

Little Game Chef: EPIC FAIL

È possibile leggere le varie entries del Little Game Chef a questo indirizzo, o anche sbirciare nel processo autogestito di critica e recensione alla pari qui.
Ma, per la cronaca, non vi troverete il mio design...
Ho sforato (di circa 1 minuto! fantastico!) la deadline, e così il mio gioco rientra nella casistica flemmaticamente delineata dal britannicissimo Graham come "vedremo poi che cosa farne".
Ma non importa. Fra le opere in concorso ce ne sono di interessanti che è un vero piacere leggere. E anche un paio di emerite stronzate, naturalmente (Parpuzio? oh, yeah), ma quelle basta saperle riconoscere (non difficile) e ignorarle.

Saturday, March 28, 2009

Little Game Chef: aggiornamento

Sono al lavoro sul mio design per il contest, ma scrivere in inglese è faticoso, e il tempo stringe. Ma almeno posso affermare con orgoglio che il mio gioco non include cavallucci marini!
In compenso, questa faccenda dei cavallucci marini mi ha portato a scoprire l'esistenza del Drago Fogliuto (ehm, sì, so che il nome italiano corretto dovrebbe essere "dragone foglia", ma io "leafy" voglio tradurlo come "fogliuto", va bene?) - e ora il mondo mi sembra un posto migliore e più bello:


Friday, March 20, 2009

Little Game Chef 2009

La mini-competizione ideata da Graham Walmsley con Jason Morningstar e Eero Tuovinen su Story-games.com è iniziata. E io sono già stato colto alla sprovvista. Seguiranno miei commenti più dettagliati, ma... "immersion"?! Di tutte le "theory words" di questo mondo?! Gosh...

Monday, March 9, 2009

"Il Sogno" è morto. Viva "L'Orgasmo".

Per inaugurare L'Orgasmo Cerebrale ho messo per sempre in pensione il mio vecchio blog Il Sogno della Ragione genera un Mostro (in realtà già in disuso da molto tempo) pubblicandovi un post con questo stesso titolo fortemente allegorico.

IL SOGNO È MORTO. VIVA L'ORGASMO.

Scritto così, senza virgolette, suona deprimente? Deprimente come una buona canzone dei Nine Inch Nails? Se è così sono riuscito appieno nel mio intento. E ti ho ingannato, lettore mio. Perché in queste parole non c'è niente di cui deprimersi, e tutto di cui esultare.

Il sonno agitato nel quale sognai Adolf Hitler

Una notte, in un sonno agitato, tormentato da un affanno di respirazione imputabile forse a una lieve influenza, faccio un sogno febbrile di antiche rovine labirintiche e di un numero incerto di esploratori/avatar di me stesso (certo gli indefiniti "PG" di un modulo d'avventura) che in un accampamento di esploratori rivali incontrano... Hitler. Uno Hitler alquanto goffo e poco spaventoso, aggiungerei - certamente non armato di un'armatura robotizzata e di una coppia di minigun, ma anzi accompagnato da un solo luogotenente all'apparenza neppure molto capace. Hitler-sogno inizia a parlamentare con le indefinite figure pseudo-protagoniste, e io inizio a preoccuparmi davvero, temendo di aver commesso un tragico errore masterale.

Di norma non dovrei essere particolarmente preoccupato per il destino di Adolf Hitler, se non fosse che ho in corso una campagna la cui ambientazione è riassumibile in "eroi pulp della II Guerra Mondiale con modesti super-poteri contro la minaccia nazista", utilizzando il Solar System di Clinton Nixon/Eero Tuovinen, e ne sono Story Guide (corrispettivo del master).
...e improvvisamente, nel bel mezzo dell'incubo, mi rendo conto che nel Solar System non ho il potere di salvare la pelle al PNG "Hitler" se i giocatori sono seriamente determinati ad ammazzarlo!
Inizio a considerare freneticamente se conferire a Hitler in maniera estemporanea il Secret of Avoidance che permette la fuga sfruttando un'anomalia nella curvatura spaziale o simili mystic-babble, quello che ho coniato per un PNG massone... ma allora, Hitler è un massone? Insomma, nel mio incubo, sentivo di aver commesso un errore irrimediabile mettendo in scena Hitler: sentivo che la Seconda Guerra Mondiale e di conseguenza la nostra campagna potevano terminare da un momento all'altro. Il mio intero passato di GM tradizionale mi alitava contro, come una schiera d'erinni dal fiato velenoso: Stolto! Hai commesso un errore fatale! Il Sogno sta per spezzarsi!

E in quella riapro gli occhi, e fissando lo sguardo nel buio immediatamente mi appare - mentre l'ansia dell'incubo si dissipa - la più naturale delle ovvietà:

LA MORTE DI ADOLF HITLER NON È LA FINE DELLA GUERRA

Non sono uno sceneggiatore di Hollywood, e certe cose dovrei ben saperle: la soppressione fisica di un ipotetico boss monster non è una vera soluzione.

Ore dopo, ripensando con lucidità a quel mio incubo notturno, mi accorgo di come quelle parole viste scritte nel buio a grandi lettere maiuscole si limitassero a grattare la superficie delle cose.
In primo luogo, la fine della Seconda Guerra Mondiale non implica in alcun modo la fine della nostra campagna.
In secondo luogo, la fine della nostra campagna, decretata da azioni compiute in gioco, non rappresenta in alcun modo un'eventualità infausta: anzi, è il punto a cui vogliamo arrivare! Dovremmo forse giocare un'eterna saga inconcludente, salvo poi stare a guardare gli americani che vincono la guerra ricalcando gli avvenimenti storici? Non credo proprio.

(Infatti, se la campagna dovesse svilupparsi in un piano per uccidere Hitler, e il piano riuscisse... in tal caso non ci sarebbe nulla di male a far terminare la guerra per mezzo di un espediente razionalmente tanto semplicistico. D'altra parte, la Trascendenza di uno qualunque dei personaggi potrebbe, se è ciò che il giocatore vuole, mettere fine alla guerra.)

Thursday, March 5, 2009

Il teatro delle ombre e il perché di quell'immagine là in alto

Quelli che seguono sono due estratti dal volume di Giovanni Azzaroni Società e teatro a Bali (CLUEB, Bologna 1994), e più precisamente dal capitolo che tratta dello wayang kulit, il "teatro delle ombre", particolarmente sviluppato e di grandissima rilevanza culturale nelle isole di Giava e di Bali.

Il primo brano descrive l'allestimento scenico dello wayang giavanese (il più volte menzionato dalang è il principale interprete dello spettacolo, colui che in italiano potremmo chiamare il "burattinaio"):

L’equipaggiamento scenico è costituito da un largo telo di cotone bianco incorniciato (kelir), che rappresenta il background sul quale si stagliano le ombre, con i bordi superiore e inferiore ben tesi e di stoffa rossa. La lampada a olio di cocco (blencong), che tradizionalmente illumina lo schermo, è di bronzo, a forma di Garuda o di aquila, con le ali parzialmente distese; un piccolo stoppino, inserito anteriormente sul beccuccio, produce una fiammella gialla alta dai dieci ai quindici centimetri: l’ondeggiare e il muoversi della fiamma pare insufflare la vita alle ombre. In anni recenti la magia evocata dalla lampada a olio è stata spazzata via dall’adozione di fredde lampade a gas o di lampadine elettriche. Le sorgenti luminose sono appese a una distanza di quaranta centimetri dallo schermo, leggermente al di sopra della testa del dalang. Poichè nel corso di azioni particolari, ad esempio una corsa, non tutte le parti componenti le figure di cuoio possono essere mostrate con soddisfacenti esiti tecnici si preferisce privilegiare, in questi casi, le parti principali della figura, ad esempio il volto, trascurando le altre. Gli spettatori che siedono dalla parte del dalang vedono le figure di cuoio, mentre per coloro che si trovano dalla parte opposta sono visibili esclusivamente le ombre, cosicché il dalang, le figure e l’orchestra possono essere osservati. Sino a un centinaio di anni fa il pubblico era diviso per sesso: gli uomini dalla parte del dalang, le donne dall’altra parte; questa separatezza non è ora osservata, nonostante la religione mussulmana caldeggi la divisione dei sessi durante gli spettacoli pubblici. Attualmente la maggior parte degli spettatori trova posto dalla parte del dalang; gli appassionati e gli addetti ai lavori preferiscono recarsi dal lato opposto per non essere distratti nella visione del mutevole mondo del wayang dal rumore e dall’animazione della messa in scena. Il dalang siede su una piattaforma di tronchi di banano (debok o gedebok), fissati su due livelli al di sotto dello schermo: il più alto è unito all’intelaiatura dello schermo, il più basso è aggettante per venti-venticinque metri. La pedana superiore si estende, oltre la larghezza dello schermo, per circa quattro metri e mezzo in ogni direzione. Dietro al dalang i musicisti (nijaga), con gli strumenti del gamelan (da dieci a venti), siedono in modo da formare un ferro di cavallo, al centro del quale trovano posto una o due cantanti (pesinden). Due batacchi di legno (cempala), tenuti con la mano sinistra e battuti contro la cassa (kotak) nella quale è riposta una serie di figure, poste alla sinistra del dalang, e quattro o cinque piatti di metallo appesi (kepjak oppure keprak oppure kecrek) sono adoperati dal dalang per produrre effetti sonori.


Il secondo brano che voglio proporre, invece, è quello (in realtà citazione da altro autore) che racconta i preparativi di una rappresentazione di wayang nell'isola di Bali:

Così M. A. Sunardjo Haditjaroko descrive la preparazione dello spettacolo:

«La sera della rappresentazione del wayang è alla fine arrivata. Nel buio gli insetti hanno già iniziato a volare attorno alla tremolante fiamma di una lampada a olio. che getta la sua luce abbagliante sul grande schermo bianco della scena. Nella parte inferiore dello schermo di stoffa le splendide figure di cuoio sono ordinatamente messe a posto: i corpi tenuti fermi da un bastone sono saldamente conficcati in un tronco di banano, posti al di sotto del sipario. Nella parte destra si trovano i personaggi buoni, in quella sinistra i malvagi. Lo spazio tra questi, circa un metro e ottanta centimetri, rappresenta la scena. Qui le figure prendono vita, come veri esseri umani, faranno del proprio meglio per percorrere il sentiero infinito dell’umana felicità. Gli strumenti musicali, circa quindici, sono messi davanti allo schermo. Sono ora le otto e trenta della sera. Uno dopo l’altro i musicisti prendono posto. Il leader del gruppo, il suonatore di tamburo, batte alcuni colpi di prova con le dita. Gli altri membri dell’orchestra seguono il suo esempio. Una dolce combinazione di suoni differenti riempie la stanza. Ma presto il suono improvvisamente si arresta. Moltissimi spettatori si stanno recando allo spettacolo. Alcuni vengono da lontano, impazienti di vedere il wayang. Poiché si rappresenta il teatro delle ombre, il posto migliore per vedere è naturalmente la parte buia dello schermo, riservata alle donne e alle ragazze. Gli uomini e i ragazzi guardano dai posti situati dalla stessa parte dello schermo illuminato dalla lampada. È vero, essi guardano le figure di cuoio senza vedere le ombre, ma osservano le bellissime figure, ne seguono i movimenti e osservano le impugnature degli strumenti e i trucchi.

Alle nove meno cinque minuti il dalang riunisce la compagnia. Prende posto di fronte allo schermo, a destra sotto la lampada, con i musicisti dietro. Come chiunque altro siede con le gambe incrociate. Poi inizia a bruciare incenso in un fornello di argilla aperto al fine di invocare il favore delle anime dei suoi antenati, degli spiriti e degli dei: chiede di essere dotato della necessaria pazienza, chiarezza di pensiero, agilità di mente in ogni occasione, facilità di lingua, poiché gli errori produrrebbero commistioni tra le voci dei personaggi maschili e femminili, inclusi personali manierismi, e una non corretta imitazione delle voci degli uccelli e degli animali della foresta nuocerebbe al suo prestigio.

Quindi, egli procura che le offerte sacrificali allontanino le interferenze degli spiriti presenti: un giovane gallo, fiori, riso cotto con cibi speziati.

Finalmente varia la posizione del piede destro in modo che le dita tocchino proprio il kechret o kepyak


Il punto su cui mi interessa richiamare l'attenzione è, in verità, solo uno. Per coglierlo, però, chiedo al lettore di interpretare alcuni dettagli dei brani che ho proposto con una certa dose di malizia, non fermandosi a quella che per il moderno lettore occidentale sarebbe la superficie più ovvia delle parole.

Soprattutto l'autore citato da Azzaroni nel secondo brano pecca, a mio avviso, di moderno sentimentalismo... mentre io non sono affatto convinto che la società tradizionale abbia mai riservato "alle donne e alle ragazze" i posti migliori da cui assistere allo spettacolo. Sono convinto, se mai, che fossero riservati a questa parte del pubblico i posti ritenuti più adatti a spettatori più semplici e più sempliciotti, spettatori di minor discernimento - mentre "uomini e ragazzi", ne sono convinto, andavano e ancora vanno ben fieri di sedere dalla parte "degli addetti ai lavori": dalla parte dello schermo che è riservata a chi capisce.

Non a caso infatti a Giava, in barba alla segregazione dei sessi, tutti quanti vogliono sedere alle spalle del dalang, invece che davanti allo schermo... Tanto che qualche mezzo asociale, con sensibilità moderna, si è autoimposto di sedere davanti allo schermo (come i bambini, dico io!) pur di sottrarsi alla calca. Ebbene, evitando di confinarci in un gioco mentale di peggio-è-meglio e meglio-è-peggio, fin troppo facile alla nostra sensibilità contemporanea, o di partire per la tangente denunciando il popolo bove perché non arriviamo all'uva (niente di così moderno, in fondo), io infine ti domando, mio paziente lettore:

QUALE LATO DELLO SCHERMO È IL MIGLIORE?

Wednesday, March 4, 2009

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L'alternativa più ortodossa sarebbe richiedere un passaggio di verifica caratteri (il solito giochino "se sei umano leggi questo, se sei un bot tanto non sei capace") per ogni commento inserito da utenti non registrati... Ebbene, francamente se ci fossi io al tuo posto, dovermi loggare in Blogger oppure inserire la sequenza di letterine anti-bot ogni volta che scrivo un commento mi romperebbe grandemente le palle. Molto meglio lasciare che ci pensi il padrone del blog a cestinare la spazzatura cagata dagli spambot, no?

Grazie dell'attenzione.

Che cos'è "L'Orgasmo Cerebrale"?

Questo è un sito personale espressamente dedicato alle cose che mi fanno godere. Principalmente, vi sono espresse le mie opinioni e riflessioni sulla teoria e sulla pratica del Gioco di Ruolo, e altri argomenti in qualche misura attinenti.

Il titolo "L'Orgasmo Cerebrale" ti appare eccessivo? Non ambisco certo a provocarlo in te, o lettore. Sappi che io lo ricerco, che talvolta lo provo, e ciò ti basti. Stai, in fondo, leggendo un sito personale, che esiste solo per soddisfare la vanità e l'esibizionismo del suo autore: sai, dunque, a che cosa vai incontro.
È piuttosto, questo titolo, l'emblema di una mia presa di posizione in materia. È ciò che nel Gioco di Ruolo voglio ottenere e a volte ottengo. Perché vedi, lettore mio, altrimenti perché prendersi questo disturbo? Se dal gioco trai meno piacere di quando scopi, perché non dedicare il tuo tempo e le tue energie ad altro, invece?

Nell'Orgasmo Cerebrale incontrerai opinioni aggressive, intransigenti, espresse sovente con linguaggio diretto e volgare. Se la cosa dovesse infastidirti, ora che ne sei stato avvertito, ti prego di dirigere - silenziosamente - la tua attenzione di lettore altrove.